a cura del Sig.
Loris Pattuelli
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Antipasto di Storia
Casalborsetti è il paese più selvatico e meno omologabile che ci sia sulla faccia della terra, un posto proletario e contadino, si sarebbe detto nel secolo scorso. Qui le brutture della Piccola Borghesia non hanno mai attecchito più di tanto e il mondo sembra passato direttamente dalla tribalità all’elettronica, dal precapitalismo più giudizioso al postsocialismo più ispirato. Niente modernità da queste parti, soltanto bricolage emergenziale e qualche vaga promessa di girotondo.
Casalborsetti è una metropoli palustre, un prato barenicolo camuffato da Giardino dell’Eden. In posti del genere i geometri contano poco e la mestizia dei piani quinquennali ancora meno.
Casalborsetti è molo e spiaggia, spiaggia e molo. Non c’è altro. Il molo finisce con un padellone-ristorante veramente fuori dall’ordinario e comincia con una montagnola di sabbia tanto sublime e improbabile da sembrare la naturale prosecuzione del monolite di 2001 odissea nello spazio.
La spiaggia si allunga invece sull’asfalto dorato della Via dei Romei e si smarrisce regolarmente nei sentieri che portano nella Pineta di Dante.
Qualcuno sa dirmi se ci troviamo a Tombouctou oppure dentro a un Giardino zen?
A volte la nostalgia si appropria di un luogo, lo modifica, gli dona un’aura incantata, mostra cose che non ci sono e che forse non sono mai esistite.
Magari la prossima volta parleremo di un porticciolo turistico pieno di seconde e terze case, magari non ne parleremo proprio e chiederemo alla realtà di ripassare tra qualche millennio. Per adesso, caro lettore, ingoiamo questa Madeleine proustiana, e speriamo che non ci vada troppo di traverso.
a cura di Luciano Lucci” visibile anche a: http://alfonsinemonamour.racine.ra.it/alfonsine/Alfonsine/casalbaronia.htm
CASALBARONIA
La gente di Alfonsine, Longastrino, Filo, Mezzano, Savarna e S. Alberto ha sempre avuto il proprio sbocco al mare in Casalborsetti. Ma fino a tutti gli anni ’50 questa località non veniva chiamata con questo nome. Per tutti era Casalbaronia.
‘Baronia’ era il nome di una Società fondata nel 1797 dal banchiere ravennate Domenico Baronio per acquistare i beni ex-ecclesiastici, già espropriati dai francesi e messi in mano alle nuove Municipalità: queste avevano dovuto pagare la tangente imposta dai Francesi al loro primo arrivo in Romagna, con le truppe di Napoleone. I creditori della Municipalità erano fra le più ricche famiglie di Ravenna e di Forlì, quali i Pasolini, i Rasponi, i Cavalli, i Bonanzi, i Pantoli, ma solo il Baronio, si dichiarò disposto ad avvalersi di quei fondi di discutibile origine per estinguere il proprio credito. Quando i vescovi e arcivescovi di queste zone si decisero a concedere la facoltà di acquistare quei beni ex ecclesiastici senza alcuna ritorsione futura, essi furono messi all’incanto tra settembre e ottobre del 1797. Così la ‘Società Baronia’ acquistò tutti i beni del monastero di Porto: un affare che risultò un imbroglio per varie comunità e specie per l’Amministrazione centrale. Tra questi beni c’erano tutti i terreni che da Ravenna arrivavano al Po di Primaro, fino alle zone di S. Alberto, Mandriole, Savarna, Alfonsine. Diverse ricche famiglie aderirono alla società, moltiplicando dieci volte le loro ricchezze. Chi più di tutti approfittò delle vendite fu l’ex marchese Alessandro Guiccioli, incaricato a Ravenna dall’Amministrazione centrale della neonata Repubblica Cisalpina di ottenere denaro in qualsiasi modo, ed egli aveva inteso tale mandato più per arricchire se stesso che per rifornire le stremate finanze del Governo. Il Guiccioli cercò spesso d’impedire la vendita di beni ad altri, per profittarne lui stesso…
Fu così che il toponimo ‘Baronia’ rimase a molti di quei luoghi e di quelle terre, compreso un capanno in muratura (casël) costruito dall’Amministrazione doganale ‘e Casël Baronia’.
Fu solo nel 1917 che l’amministrazione comunale di Ravenna decise l’intitolazione e denominò «Casalborsetti» l’aggregato di case (casale) che si stava formando attorno a quel luogo fino ad allora denominato ‘Casël Baronia’. Nonostante ciò quasi tutti gli abitanti della bassa Romagna lo chiamarono fino agli anni ‘50 ‘Casal Baronia’, finché complice il turismo di massa il nome Casalborsetti sembrò più adatto ad albergatori, bagnini, giornalisti e pubblicitari.
E «Borsetti»…, ma chi era mai questo sconosciuto?
Il mistero ci è stato fortunatamente svelato solo negli anni ’90 quando, nel bel mezzo della pineta, fu riaperto, ben restaurato, il «casello» del signor Borsetti, calzolaio e doganiere di fine Ottocento, la cui storia si può leggere in un pannello ivi esposto:
«In questa landa deserta, l’Amministrazione doganale dello Stato, aveva costruito, nella zona a nord di Porto Corsini, un capanno in muratura chiamato “Casello Speranza governativo”, una modesta costruzione che serviva da luogo di sosta e di ristoro per le pattuglie che vigilavano il litorale. E l’ultimo custode di questo “Casello” fu Giovanni Borsetti, sottobrigadiere doganale originario di Goro (dove era nato il 16 aprile 1828), che per anni continuò il mestiere del padre che consisteva nella sorveglianza del litorale per conto della Dogana. Borsetti infatti nel suo “Casello” aveva allestito la sua bottega e, anche dopo aver raggiunto l’età della pensione, ebbe l’autorizzazione a restare per continuare la sua modesta attività di ciabattino. Il sottobrigadiere e calzolaio Borsetti morirà a Marina di Ravenna il 15 aprile 1906, quasi ottantenne e certamente non avrebbe immaginato che il suo nome di lì a pochi anni sarebbe stato adottato quale toponimo della località in sostituzione della precedente denominazione (Casal Baronia)».